giovedì 23 giugno 2011

Estate nei campi.





L'estate..... ecco come si passava nei campi.

........ Dopo la festa di Sant'Antonio, il 13 Giugno, iniziava la mietitura vera e propria. Si organizzavano squadre di mietitori che partivano dalle marine dove il grano maturava prima e si andava, giorno dopo giorno, fino ai monti per tutto il mese di luglio e oltre.  Due mesi di duro lavoro, dall'alba al tramonto, sotto un sole impietoso. Durante il giorno,  per rendere meno noioso e quindi meno faticoso il lavoro, si organizzavano gare di velocità nella mietitura, gare di destrezza con la falce, ecc.., oppure si faceva salotto raccontando fatti, indiscrezioni, avvenimenti e, tra un racconto e l'altro, si intrecciavano canti popolari che narravano vicende amorose, riferite a personaggi del luogo. In ogni azienda agricola poi, il giorno in cui terminava la mietitura si faceva "u capicanaghe" ossia il banchetto di fine lavoro.
Il Giorno dopo, allo spuntare del sole, i mietitori erano già pronti, in un'altra azienda, a ricominciare. Il mietitore che portava camicia con maniche lunghe, pantaloni di sotffa pesante, scarpe grosse, fazzoletto intorno al collo, pagnotta con fazzoletto in testa, si proteggeva dalla falce e dalle punture delle spighe con "a vandera", un lunfo grembiule di sotffa dura che indossava per proteggersi il petto dalle spighe di grano; "u vrazzighere", una manica di stoffa dura per proteggersi il braccio dalle spighe; "i cannilli", lunghi ditali di canna per proteggersi le dita dalla falce. Oltre ai mietitori c'erano delle donne, "i ghigandi", che raccoglievano "i yrimiti", mazzi di spighe falciate e opportunamente legate con gli steli delle spighe e che i mietitori lasciavano cadere dietro di loro. Le donne mettevano insieme più "yrmiti", facevano " a gregna". Poi raccoglievano le "gregne" e le mettevano l'una accanto all'altra, con le spighe rivolte verso l'alto, realizzavano cos+ "u cavaglione". I "cavaglioni" venivano lasciati per diversi giorni fra le stoppie (a ristuccia) poi mediante "a traglia" trainata da buoi, oppure "i canciulluni" onde ceste a maglie larghe fatte con vinimi e caricati su un asino, venivano trasportate nell'aia. Qui si costruiva "a meta" o si disponevano nell'aia dove o con i buoi con gli asini iniziava "a pisatura", ossia si incomiciava a pestare le spighe. Quando il tutto era frantumato si provvedeva a separare il grano dalla paglia con l'aiuto "du tincie", un lungo forchettone, e del vento. Finita la trebbiatura e portato il grano al mulino si saggiava la farina. Pane, pitte liscie, o con pomodori e peperoni, "i raschatille", "i firsughu", " i ghaghanill". 
L'anno finiva con la raccolta delle pere che venivano tagliate per metà e messe a seccare al sole e dei fichi che venivano messi su appositi "cannizzi" (stuoie di canne" a seccare. Settembre era ormai alle porte e il giorno di "S. Croce" era vicino. 


Tratto da "Come tante Frasche", di Antonio Introcaso.

1 commento :

COSIMO GATTO ha detto...

perchè non si dedica un premio alla cultura al nostro carissimo ANTONIO INTROCASO per il suo impegno nella diffusione e promozione della poesia in dialetto e delle usanze montegiordanese.