martedì 29 ottobre 2013

Giorgio Liguori e il Consorzio di Bonifica

Giorni fa mi sono trovato a discutere con una persona che è sempre un piacere incontrare, data la sua compostezza e calma quasi aristocratica. 

È stata sempre questa l'impressione che Francesco Manera mi ha fatto ogni volta che ho avuto, ripeto, il piacere e l'onore di discutere con lui. 
Quasi un contrappeso ai miei modi che ogni tanto dovrei raffinare, abituandoli ad un più opportuno e mite ascolto.
Parlando di alcuni valori comuni, mi ha portato l'esempio di Giorgio Liguori. Ho parlato spesso del politico Montegiordanese, e vorrei qui riportare le parole di Manera, pubblicate anche sul sito Giorgio Liguori per La Calabria, che descrivono una parte importante dell'attività Politica del nostro rimpianto compaesano: la fondazione del Consorzio di Bonifica che ha ancora sede a Trebisacce.



Buona Discussione.

GIORGIO LIGUORI FONDATORE DEL CONSORZIO DI BONIFICA MONTANA DEL FERRO E DELLO SPARVIERO, UNO DEI POCHI ENTI DI BONIFICA IN ITALIA CON BILANCIO ATTIVO E DI RILEVANZA SOCIALE ED ECONOMICA, NEL RICORDO DI UN AMICO 
di Francesco Manera

Nell'immediato periodo post-bellico, nel corso degli anni 50 del secolo appena passato, l‘estrema parte nordica della regione Calabria, la Sibaritide, che lungo la costa si estende all'incirca da Sibari a Rocca Imperiale, languiva nella sua atavica miseria, ereditata dalla storia e aggravata dal conflitto bellico da poco concluso.
Tale condizione, che costituiva il comune denominatore delle regioni meridionali in genere, era particolarmente accentuata in questo estremo lembo di terra calabra, geograficamente e logisticamente più vicino a Taranto e a Matera, rispetto al proprio capoluogo di provincia, Cosenza, che, sino alla seconda metà degli anni sessanta, non servito dall'autostrada, era raggiungibile dall'alto Jonio cosentino con una percorrenza media di circa due ore e trenta minuti.
I comuni del comprensorio, nel periodo storico di cui è parola, mancavano dei servizi essenziali: la rete idrica e la rete fognante saranno una conquista degli anni —sessanta“ e —settanta“, mentre la rete viaria si esauriva nella SS.106, rimasta sterrata sino a verso la fine degli anni —cinquanta“, dalla quale si dipartivano bretelle di collegamento con i comuni interni,che furono asfaltate tra gli anni sessanta e settanta.Il mondo rurale, che costituiva l‘unica, ancorché precaria fonte dell‘economia della zona, usufruiva soltanto di viabilità mulattiera. Le linee telefoniche erano surrogate, sino alla metà degli anni —sessanta“, da quelle telegrafiche e dalla corrispondenza epistolare. Le istituzioni, letteralmente assenti quelle statali e provinciali, nei comuni erano rappresentate dal sindaco, la cui attività si limitava alla gestione dell‘esistente, ovverosia del nulla, e di tanto in tanto si manifestava attraverso atti deliberativi consiliari, che rimanevano meri atti propositivi, perché privi di supporto finanziario.
In tale contesto, un generoso figlio di Montegiordano, giovane medico condotto presso lo stesso comune, niente affatto rassegnato ad accettare, per sé e per i suoi concittadini, tali assurde condizioni di vita, decideva di riscattare la propria terra dal totale abbandono e degrado sociale ed economico in cui versava, mettendo al servizio di tale causa l‘entusiasmo, la forza e la tenacia della sua età, la sua vivissima e non comune intelligenza, la sua grande umiltà e la sua impareggiabile capacità di mediazione. Queste doti consentivano a Giorgio Liguori, convinto cristiano e cattolico praticante, di militare efficacemente nel partito che aveva salvato l‘Italia dal fascismo, prima, e dal comunismo, dopo, la Democrazia Cristiana, attraverso i cui canali faceva conoscere, presso i centri di potere provinciali e nazionali, l‘esistenza di questo comprensorio, per il quale veniva da lui coniata la denominazione di —alto Jonio cosentino“, e, con esso, la necessità e l‘urgenza di porre rimedio agli immani problemi che da sempre lo affliggevano.
Il suo primo, grande problema, che avvertì subito, fu quello di ritagliarsi lo spazio necessario nell‘ambiente politico del capoluogo di provincia, da sempre ermeticamente chiuso alla periferia, considerata mera riserva di voti a beneficio esclusivo della casta politica cosentina, alla quale venivano tributati alla stregua di una sorta di perpetuato rapporto di vassallaggio.
Le sue qualità appena accennate, assistite costantemente da un profondo sentimento umano e cristiano, in virtù del quale si rivolgeva al prossimo, anche ai suoi più accaniti detrattori, col sorriso sulle labbra e con grande disponibilità al dialogo, all'ascolto delle ragioni dell‘altro, gli permisero di accedere agli organi provinciali , regionali e nazionali del partito con una consistente e imprescindibile forza contrattuale, che gli derivava da un largo, unanime e compatto consenso della base elettorale democristiana del comprensorio dell‘alto Jonio, che diventava sempre più numerosa e che aveva capito,
individuandolo in Giorgio Liguori, di dover affidare a un proprio uomo, dotato di dignità e capacità rappresentative, la risoluzione dei propri problemi.
Divenuto punto essenziale di riferimento nella politica dell‘alto Jonio nonché protagonista di primo piano della politica provinciale e poi regionale (co-segretario provinciale del partito, assessore provinciale e, in fine, consigliere regionale), Giorgio Liguori profuse tutte le sue risorse intellettuali e fisiche in una sempre più intensa e capillare attività politica, volta, per un verso, alla promozione delle necessarie iniziative finalizzate alla realizzazione del progetto politico in cui credeva e per il quale aveva ricevuto il mandato popolare, e, per altro verso, a fronteggiare l‘opposizione esterna, che non è stata mai tenera con lui , esercitata massicciamente dal partito comunista , con metodi leninisti, e, contemporaneamente, a tessere una paziente e quotidiana opera di mediazione, internamente al partito democristiano, tesa al mantenimento degli equilibri intercorrentizi e intersoggettivi, a livello locale, provinciale e regionale.
Quest‘ultima attività, assurdamente, assorbiva grande parte del suo tempo! In ogni partito politico, la dialettica interna è stata sempre l‘elemento dinamico e vivificatore del partito stesso, dando luogo alla formazione di filoni di pensiero, ciascuno dei quali facente capo a un leader, che nella prassi assumono la denominazione di —correnti“ e che nella teoria elaborano idee di rinnovamento e di adeguamento alle mutevoli esigenze del contesto sociale rappresentato. Tale fenomeno, tipico di ogni partito democratico, non poteva non essere presente nel partito della Democrazia Cristiana, che era il più grande partito democratico del dopoguerra.
Va ricordato, in proposito, che, spesso, le correnti, tradendo la loro nobile origine, degeneravano, come tutt'oggi accade, per diventare beni strumentali ad appannaggio di taluni cosiddetti sostenitori, che se ne servivano e se ne servono alla stregua di corsie preferenziali per il perseguimento di fini certamente meno nobili di quelli posti a motivazione della nascita delle correnti medesime.
Nell'ambito di questi fenomeni degenerativi, gli egoismi e le ambizioni personali, abilmente mimetizzati, costituiscono, in genere, l‘elemento propulsore e dequalificante di ogni iniziativa potenzialmente idonea a produrre effetti destabilizzanti nel partito.
Il contesto socio-politico comprensoriale e provinciale, allora forse più che oggi, non era affatto immune da siffatte patologie, che di norma traevano alimento e vigore da articolati e sofisticati bizantinismi, sapientemente confezionati sotto forma di istanze propositive, che più o meno abilmente mascheravano la loro natura ricattatoria.
In questa logica, la periodica celebrazione del congresso del partito,ovvero le singole scadenze elettorali, offrivano terreno fertile alla proliferazione di tali comportamenti, che in vario modo interessavano le singole realtà locali dell‘intero territorio provinciale.
Ciò detto, si può meglio comprendere l‘immane e certosina opera di mediazione che il leader era chiamato a svolgere, quasi quotidianamente e in ogni dove, compreso il proprio comune, con grande dispendio di energie ma con l‘appagante consapevolezza di garantire le necessarie condizioni di stabilità politica e di pace sociale, che si coniugavano col suo profilo di uomo buono e semplice, illuminato dagli ideali di cristianità, di eguaglianza e di giustizia sociale, attento interprete dei processi evolutivi della società.
Ancorato a questi valori, si esprimeva, in famiglia, come marito premuroso e fedele, padre affettuoso e generoso, e si impegnava, in politica, al servizio della sua gente, con la tenacia e la fede di chi si batte perché profondamente crede in un futuro migliore.
Sempre sensibile al problema dell‘occupazione(si ricorda i numerosi posti che fece prevedere ed occupare nella pianta organica provinciale, la cui revisione curò direttamente nella qualità di assessore al personale), il suo progetto politico comprendeva, come obiettivo principale, la valorizzazione delle risorse emergenti dalle vocazioni naturali del territorio, turismo e agricoltura, dalla cui realizzazione si attendeva un importante indotto che sarebbe scaturito dalla conseguente rifioritura dell‘artigianato, a testimonianza delle antiche tradizioni locali.

Ogni sua iniziativa politica mirava alla realizzazione di un piccolo tassello, concepito in perfetta sintonia con l‘intero mosaico progettuale per il quale lavorava (vedi lungomare di Montegiordano e di Trebisacce , due perle dell‘alto Jonio), che egli aveva ben presente nella sua mente e che spesso, tra amici, sognando il futuro, amava descrivere in ogni particolare, offrendo un‘immagine suggestiva e coinvolgente, ma ad un tempo realistica e fattibile, del modello di sistema agrituristico mare-monti che intendeva far nascere nell'alto Ionio, anticipando di circa mezzo secolo le strategie di sviluppo che oggi sono teorizzate come le ipotesi più avanzate e più adeguate per il decollo socio-economico di questa terra.
La biografia di Giorgio Liguori, che Riccardo Liguori, con amore filiale e indubbia professionalità, ha curato e sta per dare alla stampa, è la sede naturale nella quale saranno certamente elencate le opere più significative realizzate per volontà del leader e in virtù dell‘azione politica dallo stesso svolta. A me preme, invece, ricordare, a conclusione di questo breve scritto, quelle opere delle quali l‘intera comunità dell‘alto jonio, direttamente o indirettamente, ha beneficiato e beneficia, ma che pochissimi sanno essere l‘effetto di una delle pietre miliari poste da Giorgio Liguori nella storia evolutiva dell‘alto Jonio.
Giovane laureato, dopo aver superato un colloquio selettivo indetto da una nota industria chimica, fui destinato a dirigere la filiale di Napoli, per curarne i rapporti commerciali nel sud d‘Italia, con un trattamento economico all‘epoca prestigioso, ma col rammarico di lasciare mia madre, vedova e sola. Al saluto di commiato, Giorgio Liguori, col suo solito sorriso bonario e accattivante, nel porgermi il certificato medico di idoneità fisica al lavoro, mi disse, testualmente:“sono certo che tu, fra non molto, tornerai qui, a lavorare al nostro fianco, per questa terra“. Alla mia domanda, spontanea e incredula, replicò, genericamente e con malcelato tono misterioso, che sarebbe nata un‘industria che avrebbe prodotto posti di lavoro in tutto l‘alto Jonio.
Dopo circa un anno e mezzo, un mese prima della sua tragica fine, appresi da una sua telefonata che era stato costituito il Consorzio di bonifica montana del Ferro e dello Sparviero, presso il quale avrei potuto prendere servizio nella qualità di direttore amministrativo.
Giorgio Liguori, come poi appresi dai documenti e dai testimoni di cui appresso, nell‘assoluto silenzio, avvalendosi della collaborazione e dell‘esperienza del Dr. Guido Librandi, capo dell‘Ispettorato Agrario Provinciale nonché commissario prefettizio presso la Comunità Montana, e del dr. Giorgio Acciardi, funzionario di questo ente, da oltre tre anni, di intesa con l‘on.le Dario Antoniozzi, all‘epoca Sottosegretario al Ministero dell‘Agricoltura, aveva lavorato per far predisporre un piano generale di massima, rappresentativo delle opere ritenute necessarie e urgenti per la bonificazione del territorio, e tutti gli altri atti amministrativi, propedeutici alla costituzione d‘ufficio dell‘ente di bonifica, che avrebbe dovuto operare in un comprensorio di 54.323 ettari, esteso da Rocca Imperiale a Plataci.
Ciò fatto, con D.P.R. del 23-02-1968, detto territorio fu classificato come comprensorio di bonifica montana, e quindi, con successivo D.P.R. n.72452 del 21-02- 1969, ai sensi della legge n.991/1952, art. 16, fu costituito d‘ufficio il consorzio di bonifica, a capo del quale, per assicurarne il primo avviamento, fece nominare, quale commissario straordinario ministeriale, un dirigente dello Stato di alto profilo professionale, il dr. Mario Ciolli, Amministratore delle foreste demaniali di Cosenza, tecnico di grande valore, da tutti stimato per le sue provate capacità manageriali, per la sua notevole esperienza maturata in materia di forestazione e sistemazione idrogeologica del territorio, per la sua esemplare integrità morale.
Il Consorzio di bonifica, ultimo dono di Giorgio Liguori alla sua gente, nel ventennio di attività operativa 1971/1990, ha prodotto benefici di grande rilevanza sociale ed economica per tutto l‘alto Ionio, senza precedenti nella storia di questa terra, sia in termini occupazionali e sia in opere di bonifica. Nell'arco di cinque anni dall'inizio della

sua attività, i livelli occupazionali del consorzio, che saranno mantenuti nel tempo, sono costituiti da 19 impiegati e da oltre 800 operai, circa 60 dei quali di Montegiordano, i cui emolumenti comportavano una erogazione finanziaria di oltre un miliardo di lire al mese, che andava a sollevare il bilancio di altrettante famiglie nel comprensorio. Tanto, senza considerare la manodopera assorbita dalle imprese che eseguivano opere in appalto, per conto del consorzio, che complessivamente e mediamente comportavano una spesa mensile di circa un altro miliardo di lire.
Quanto alle opere di bonifica, basti ricordare i massicci interventi di risanamento del dissesto idrogeologico del territorio, mediante il rimboschimento di migliaia di ettari di terreni degradati, con opere idrauliche connesse, la regimentazione del deflusso delle acque torrentizie, le infrastrutture viarie nelle zone montane, la creazione di aree verdi attrezzate nei pressi dei centri abitati. In fine, merita particolare rilievo la costruzione dell‘impianto irriguo alimentato dalle acque del fiume —Sinni“ invasate a —Monte Cotugno,“a servizio della fascia costiera compresa tra Rocca Imperiale e Trebisacce, all‘epoca costato circa 67miliardi lire, che è valso a migliorare, e in parte a trasformare, gli ordinamenti produttivi delle zone interessate, con conseguente sollievo dell‘economia agricola.
Di questa natura e di questa portata sono i benefici derivati all‘intero contesto sociale ed economico dell‘alto Jonio, in virtù dell‘attività svolta dal consorzio voluto e —creato“ da Giorgio Liguori, senza imporre contributi di bonifica ai cittadini, per sua libera scelta. Se avrebbe fatto di più, il consorzio, ove fosse rimasto in vita il suo —fondatore“, è domanda senz‘altro legittima, alla quale non può non corrispondere risposta affermativa. Altra affermazione che può farsi, a parere di chi scrive, con assoluta certezza, è che la presenza di Giorgio Liguori non avrebbe consentito al mercatino della politica, ormai in evidente e pericoloso degrado, di sopprimere il consorzio, unico fra tutti i consorzi calabresi a subire questa sorte nonché, paradossalmente, unico ente di bonifica con un bilancio attivo, in tutta Italia: al momento della sua soppressione, era titolare di un patrimonio costituito da un deposito bancario di otto miliardi e dalla propria sede, appena ultimata, del valore di un miliardo!
La Regione Calabria, autrice di tale atto vandalico attraverso la legge n. 5/1988 e del successivo decreto attuativo, a distanza di quattro anni dalla distruzione del Consorzio e del suo patrimonio, nel 1994, fa rinascere il Consorzio medesimo. Ma, questa, è un‘altra storia, che fa ancor più rimpiangere Giorgio Liguori.
Montegiordano, novembre 2009

Francesco Manera

1 commento :

Anonimo ha detto...

Nel Dicembre del 2008, in occasione del trentottesimo anno della sua scomparsa, l'amministrazione comunale di Montegiordano promosse una lodevole iniziativa in ricordo del Dott. Giorgio Liguori.

Purtroppo però quella manifestazione rimase un fatto isolato.

Io credo che quel maledetto 21 Dicembre del 1970 non sia morto soltanto l'uomo e il politico, io credo che quarant'anni fa su quella tratta della Salerno-Reggio si siano spente anche le speranze di tutti i cittadini Montegiordanesi.
Giovanni Pascoli in una bellissima poesia "La quercia caduta" evidenziava di come ci si accorge dell'utilità o meglio dell’importanza di qualcosa o di qualcuno soltanto quando questi non c'è più. Nel caso di G. Liguori constatare quanto ci sia mancato e quanto ci manca è mille volte più evidente.



Girando per la nostre strade non c’è niente infatti che non ci ricordi il Dott. Liguori, non c'è nulla che non sia in un certo senso riconducibile alla sua opera o alla sua progettualità, dalle opere pubbliche, (basti pensare al lungomare o alla chiesa madre), all'edilizia popolare, dalle opere infrastrutturali all’occupazione.

Quante persone hanno trovato lavoro grazie a Giorgio Liguori, nelle scuole, nella P.A., alla Provincia e, consentitemelo chissà come sarebbe finita con il salumificio se lui non ci avesse lasciato.



Io non ho avuto il privilegio di conoscere personalmente il Dott. Liguori, quando avvenne la disgrazia avevo poco più di 10 anni, ma ho capito di quanto lui fosse amato dalle testimonianze delle persone che hanno avuto la fortuna di conoscerlo, ho appreso di quanto lui fosse stimato leggendo il consenso elettorale che riscuoteva.

E’ vero Montegiordano, tranne forse soltanto una volta, è sempre stata generosa con i propri concittadini che hanno inteso cimentarsi in una competizione elettorale e, questo a prescindere dallo schieramento politico, ma nel caso di Giorgio Liguori i risultati andavano sempre oltre ogni aspettativa, era quasi un voto plebiscitario.



Giorgio Liguori era amato semplicemente perchè era una persona buona e disponibile, era stimato e votato perchè possedeva una dote che solo i grandi hanno: l’umiltà, a cui univa una straordinaria moralità e una irriducibile coerenza, virtù che purtroppo sono alquanto desiderabili in molti dei nostri attuali rappresentanti istituzionali.



Pietro Metastasio poeta drammaturgo e sacerdote del 18° secolo scriveva che “la vita di un uomo si misura dalle opere che egli compie e non dai giorni che egli vive” e proprio su questa massima io credo che Giorgio Liguori vive ancora.



La manifestazione del 2008 fu il giusto riconoscimento al nostro concittadino più illustre; Io però avrei voluto che il 21 Dicembre diventasse un appuntamento fisso nell’agenda comunale, perché in un momento di grande scadimento e mediocrità della politica in cui abbondano sempre più saltimbanchi e ciarlatani, dare alle nuove generazioni riferimenti veri come la figura di Giorgio Liguori è quanto di meglio e di più giusto la politica stessa possa fare.


Nicola Melfi