venerdì 9 novembre 2007

LA STORIA DEL CEMENTIFICIO



Pochissimi montegiordanesi conoscono la storia di questo opificio che vediamo ergersi a fianco della strada statale106 jonica, a ridosso, lato monte, di una pineta lussureggiante, che fortunatamente lo avvolge, in parte, nel suo intenso verde, quasi a volerlo nascondere. A ciò ha pensato, negli anni, fortunatamente il Consorzio di bonifica di Trebisacce.
Ridotto ad un ammasso di ferraglie e saccheggiato dai ladri del ferro e non solo, l’ex cementificio Zippitelli, è rimasto sempre lontano dall’attenzione di tutti, quasi a voler dimostrare che il problema non appartiene ai montegiordanesi ma ai canicattesi (per chi non lo sapesse sono gli abitanti di Canicattì). Succede questo quando si è miopi e lontano dalla realtà quotidiana.
La nascita del cementificio di Montegiordano è collegata all’abbondante presenza in loco della pietra marna, roccia calcarea contenente una sensibile quantità di argilla, utilizzata come miscela nella formazione del cemento Portland, previa cottura a circa 1500°C. La produzione giornaliera era di circa 600 quintali. Le cave da cui venivano estratte queste rocce cristalline erano ben conosciute dagli indistriali della vicina Puglia, tanto è vero che, sin dal 1914 le trasportavano presso i propri cementifici di bari e Taranto.
Da qui l’ascesa in campo dell’ingegnoso industriale di Bari, tale Michele Zippitelli, che nel 1927 avviò la costruzione del cementificio. Un complesso industriale di tutto rispetto costruito, alla marina di Montegiordano, poco distante dalle acque del mare jonio, su un’area di oltre 30/40mila metri quadri.
La scelta di quest’area per impiantare lo stabilimento è stata senz’altro condizionata dalla presenza di importanti vie di comunicazioni, quali la ferrovia Sibari- Metaponto e la strada statale 106 jonica, ma anche perché si poteva disporre di un buono quantitativo d’acqua proveniente dal canale Vittoria, attiguo allo stabilimento.
La pietra marna estratta dalle cave veniva prelevata e trasportata da una distanza di oltre tre chilometri mediante teleferica azionata da un motore termico.


Con l’avvento della seconda guerra mondiale il cementificio Zippitelli cessò di produrre e solamente nel 1947 riaprì i battenti. Come riferisce la dottoressa Antonella La Manna che ha studiato da vicino tutte le fasi evolutive di questo cementificio al punto da presentare la sua tesi di laurea in economia e commercio presso l’Università di Bari, anno accademico 1999/2000, dal titolo: L’Economia di Montegiordano e il suo movimento migratorio dagli anni ’50 alla metà degli anni ‘70”.

“ La sua riapertura diede un vero impulso non solo all’economia montegiordanese ma anche a quella di tutta la zona limitrofa offrendo occasione di lavoro soprattutto per quanti ritornati dalla guerra si trovarono ad essere senza un’occupazione. Tale industria aveva impiegato un numero molto elevato di operai ( oltre 120 ) diventando la fonte di reddito per molte famiglie montegiordanesi nonché per tanta altra gente residente nei paesi vicini. Inoltre, esso aveva dato impulso a diverse attività marginali che avevano cominciato a sorgere in Montegiordano marina. La pietra marna,infatti,veniva sottoposta ad un altro processo di lavorazione dal quale si ottenevano portali, balconi che venivano utilizzati nella costruzione di abitazioni. Se da un lato,quindi, il cementificio contribuiva più di ogni altra risorsa a risollevare le condizioni miserabili della popolazione montegiordanese, dall’altro l’esistenza di tale industria non modificava sostanzialmente quella che era la tradizioni agricola-artigianale del paese; tanto è vero che accanto al ”popolo dei minatori”, un’altra parte rilevante della popolazione montegiordanese si dedicava alle numerose attività artigianali nonché all’attività agricola. I montegiordanesi, infatti, hanno sempre dimostrato un vivo interesse per la terra e così come sono proprietari di case, che rappresentano il loro primo tipico investimento, sono stati anche proprietari terrieri e coltivatori della loro terra. Una volta ripresa la vita e il lavoro nelle campagne circostanti il paese, l’agricoltura divenne ben presto il settore principale dell’economia locale. Il tipo di agricoltura prevalente era l’agricoltura promiscua, dove la promiscuità era rappresentata dalla presenza contemporanea nelle più diverse colture, ad esempio, la coltivazione dell’ulivo, considerata la più importante per l’economia familiare, si alternava con alberi di fico, di melo, di pero e più frequentemente con spazi di seminato cui una buona parte era riservata al frumento. Un’economia dunque, insieme agricola e pastorale, molto povera e sufficiente appena al consumo familiare alla quale si affiancavano altre attività quali quelle artigianali”. In effetti, l’unica fonte di risorsa certa era il lavoro al cementificio.

La richiesta pressante della domanda di cemento proveniente da ogni dove, coincidente con la nascita della Cassa per il Mezzogiorno, impegnata nella ricostruzione di strutture vecchie danneggiate dalla guerra e di altre nuove, ha imposto al proprietario del cementificio la ristrutturazione e la sostituzione dei vecchi macchinari con altri nuovi.

Tutto ciò,ovviamente, richiedeva la riconversione dei macchinari alimentati da energia termica, ovvero combustibile, con altri da alimentare con energia elettrica che aveva meno incidenza sul costo del cemento.

Da qui la richiesta di una forte fornitura di energia elettrica più volte invocata e mai soddisfatta, al punto che il proprietario, nei primi mesi del 1955, chiude per sempre i battenti.

A nulla è valsa la delibera del Consiglio comunale di Montegiordano del 21 ottobre 1955 con la quale invitava lo Stato ad intervenire per non mettere sul lastrico oltre cento famiglie e per non disperdere le specializzazioni conseguite nel corso degli anni dagli addetti alla manovra di complicati macchinari. Ogni appello è stato disatteso.

Una vicenda assurda e sconcertante che determinò da subito miseria ed emigrazione. Infatti, da 3213 abitanti nel 1951, il massimo picco raggiunto nella storia di questo piccolo paese, si è passato a 2.200 abitanti ed oggi ancor di meno.

Tra gli atti parlamentari della Camera dei Deputati, troviamo due interpellanze presentate rispettivamente dall’onorevole Giacomo Mancini in data 13 dicembre 1955 e dall’onorevole Dario Antoniozzi in data 17 dicembre del 1955. Entrambe hanno stesso contenuto che può riassumersi come di seguito: Il sottoscritto chiede d’interrogare il ministro dell’industria e del commercio e il ministro presidente del Comitato dei ministri per la Cassa del Mezzogiorno, per sapere se sono informati sulle ragioni che hanno determinato la chiusura del cementificio Zippitelli di Montegiordano (Cosenza) e per sapere quali urgenti provvedimenti intendano adottare nei confronti della società erogatrice dell’energia elettrica responsabile principale della chiusura del cementificio; che, proprio nel momento in cui si parla di industrializzazione del Mezzogiorno, ha causato un ulteriore impoverimento del settore industriale calabrese e la conseguente dilatazione della disoccupazione. L’interrogante chiede la risposta scritta (17667)”.
Tutto qua la storia del cementificio di Montegiordano e la sua economia.
Pur nella loro autorevolezza, queste interpellanze non sortirono alcun effetto e così il proprietario Micelle Zippitelli, che per un certo verso aveva cambiato il volto di questo piccolo centro calabrese, iniziò a licenziare via via tutti gli operai ai quali toccò da subito l’emigrazione verso il nord Italia.

Alessandro Alfano

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